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CARSO TRIESTINO: non solo PANORAMI

116 pagine, colore
Edizioni Luglio (2010)

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Il libro

Questo libro è stato per me una nuova grande sfida, per diversi e molteplici motivi.

Il primo ed il più importante fra questi è stato proprio il soggetto. Chi mi conosce sa che normalmente prediligo ritrarre il quotidiano, con soggetti spesso in movimento, persone indaffarate nei propri attimi giornalieri –metropolitani o esotici- attraverso i quali raccontare una storia, un piccolo “susseguirsi di gesti banali” per un inedito reportage.

Perché passare quindi ad un genere più statico e decisamente più bucolico? La risposta può sembrare addirittura troppo semplice: perché solamente uscendo dai propri schemi ci si può rinnovare, e solamente sperimentando si può giungere a qualcosa di inaspettato.
Ho imparato quindi il significato dell’attesa: un tramonto, un soffio di vento, l’arrivo di una stagione, il volo di una farfalla. Al contrario del solito sono andata a cercare il mio soggetto, senza lasciare che il soggetto cercasse il mio obiettivo. E non è stato facile non permettere che il soggetto “dominasse” la mia scena in velocità e prepotenza come accade nei reportage, anche se talvolta mi sono comunque lasciata andare ad uno scatto rubato: un ciclista in passeggiata domenicale o una buffa capretta che si domanda cosa sia quell’altrettanto buffo oggetto che tengo in mano.

Un altro aspetto importante di questo lavoro è stata la scelta del formato delle immagini: panoramico, ma il più delle volte soltanto nelle sue dimensioni e proporzioni fisiche. Come dice il titolo del libro, il Carso è senz’altro panoramico, ma non per questo dobbiamo aspettarci di vedere solo ed esclusivamente delle immagini DI panorami. Anzi.
Ho cercato di portare il lettore ad osservare in una dimensione diversa anche le immagini più scontate, o semplicemente a cui è più abituato, per dimostrare che la realtà può davvero sembrare più nuova anche grazie ad una presentazione diversa.
Il Carso non ha bisogno di presentazioni, ma di certo è più curioso osservare lo stesso sentiero percorso più e più volte alla stessa altezza di un suo sassolino, aprire i battenti di un cancello che ci spronano ad entrare, distenderci tra l’erba ad osservare quel che resta dopo la vendemmia autunnale.

Non ho cercato un Carso “avventuroso”, di difficile percorrenza o raggiungibilità. Questo è il Carso “di tutti”, di chiunque abbia voglia di guardarlo e vederlo nella sua affascinante semplicità e immediata ruvida bellezza di ogni stagione. È il Carso dei colori, dei fiori, del sommacco, dei sentieri, del sottobosco, delle grotte. È il Carso rurale, di pietra dura, di viti, ulivi e di lavoro a cui forse non si pensa ormai più in città. È il Carso del ricordo, del filo spinato, delle icone, dei monumenti, delle chiese.

Perché il Carso è ben più di un semplice panorama.

Roberta Radini


Roberta è imprevedibile e coraggiosa. Imprevedibile perchè in questa raccolta scopro un’artista ben diversa da come l’avevo conosciuta. Che sa e vuole rimettersi in discussione.
Coraggiosa (o incosciente), perchè ce ne vuole di coraggio a chiedere un’introduzione ad uno che non ha mai saputo fare una foto neanche per sbaglio, che non si occupa di arti figurative e che di mestiere (a volte) racconta barzellette e riproduce le voci altrui.
Imprevedibile perchè stavolta non vuole cogliere l’attimo, ma vi entra in punta di piedi. Ed in quello stesso attimo fa entrare tutti noi con una semplicità disarmante.

Dentro le sue immagini sento forte l’odore della pietra carsica, ne tocco con mano la ruvida bellezza, osservo la corteccia dei pini neri, la resina, le foglie rosse di sommacco che in autunno donano alla landa carsica quel senso di solitudine di cui il Carso è fortemente pervaso e provo una gioia immensa ad intravedere il mare dietro i pastini.

Non c’è Carso senza mare. L’occhio curioso di una capretta, criniere di cavalli, stalle, legna, campanili, case, ante aperte, cancelli arrugginiti, tegole, cianfrusaglie accatastate in un’aia, cerchioni appesi a reti metalliche, specchietti imbrattati, grotte, sentieri e strade deserte (eccezion fatta per un ignaro ciclista), un segnale stradale in primo piano ed alle sue spalle una stella rossa sopra le pietre di un monumento ai caduti, e ancora pietre e terra rossa e sole: sì, è il Carso di tutti.

E la difficoltà sta tutta qui: farci entrare in qualcosa che ci appartiene, vivendola nuovamente e cercandone la verità. Quella stessa verità che credevamo di conoscere già.

Andro Merkù
 

» Intervista su Radio Punto Zero (gennaio 2011)

Presentazione del libro: "CARSO TRIESTINO: non solo PANORAMI".